Banche: in prima linea anche sul fronte dell’Equity?

Giovanni Gilli, presidente di Intrum Italy ne parla su Milano Finanza

In questi giorni sta emergendo con chiarezza: nell’immediato l’ossigeno è la liquidità, ma domani sarà il capitale la vera merce rara. Il quadro non è rassicurante, almeno tre sono gli ostacoli:

• Dimensioni dell’intervento: a fronte di possibili perdite cumulate di fatturato di circa 4/500 miliardi tamponate con debito, è irragionevole ipotizzare ricapitalizzazioni nell’intorno dei 100-120 miliardi solo per riequilibrare le strutture finanziarie nel breve? E che risorse paragonabili debbano poi sostenere gli investimenti per la fase di rilancio?

• Rischiosità molto elevata: quale indice Debiti/EBITDA sarà reputato normale dopo l’erogazione degli agognati finanziamenti a garanzia statale?

•  Altissimo grado di dispersione: non un classico intervento da fondo di turnaround limitato a qualche decina di interventi ma una manovra di sistema allargata a migliaia di aziende anche di piccole e piccolissime dimensioni

E allora, al di là della forte aspettativa per i contenuti del prossimo Decreto governativo (solo una cornice o anche programmi concreti questa volta?), può il nostro sistema finanziario movimentare tale potenza di fuoco senza ricadere in una macro-statalizzazione destinata ad emulare i 40 anni di vita delle nostre gloriose Partecipazioni Statali?

Costituzione di fondi pubblico/privati gestiti da operatori indipendenti sulla base di una governance che ne difenda l’autonomia; supporto anche fiscale alla raccolta dei fondi di Private Equity; utilizzo creativo di strumenti anche datati (azioni privilegiate, obbligazioni convertibili e convertende, mezzanini) ma oggi forse  ancora utili per attivare nuove tipologie di investitori con diversi equilibri di rischio/rendimento e modalità di governance non penalizzanti per l’imprenditore, che nella fase di rilancio deve rimanere padrone in casa propria.

Ma se tutto questo facesse fatica a decollare o avvenisse in tempi incompatibili con le necessità? Il rischio che le banche si possano trovare, loro malgrado, in prima linea anche su questa trincea non è escluso. Due sono i fronti che si potrebbero aprire: da un lato la chiamata di correo a contribuire in qualità di investitore istituzionale ai nuovi fondi di supporto al capitale di rischio in fase di lancio, dall’altro quelle che è facile prevedere saranno le molte e difficili decisioni di conversione di debito in equity per il riequilibrio finanziario delle imprese in un sistema ancora bancocentrico. Posizioni che per numerosità e dimensioni solo in minima parte potranno essere eventualmente apportate ai fondi di cui sopra.

Le banche l’hanno fatto in passato, e anche bene, sia negli anni pre-crisi ante 2008 quando avevano al loro interno nuclei di P/E che avevano aiutato l’affermazione di importanti nomi del Made in Italy, e recentemente contribuendo con approccio anche industriale alla positiva risoluzione di casi aziendali complessi. Ma se applicato su larga scala si tratterebbe per il mondo bancario di un deciso aumento della rischiosità del modello di business in un momento in cui tutte le energie dovranno essere dirette al sostegno creditizio delle aziende. 

Speriamo si tratti veramente di un’opzione B, che il sistema riesca davvero a movimentare le risorse per rafforzare il capitale delle nostre industrie senza dover ricorrere in modo eccessivo al coinvolgimento del mondo bancario. Ma forse non è inutile che le grandi banche si preparino in caso di bisogno a riattivare e rafforzare le vecchie strutture e competenze dell’epoca passata.