ESG e le imprese

Standard etici comuni per le aziende in UE

I valori legati ai diritti umani, all'anticorruzione, alla gestione del personale, alla salvaguardia dell'ambiente, alla costruzione di un modello di responsabilità sociale integrato con il piano industriale stanno mettendo radici all'interno delle organizzazioni, che mostrano interesse nel voler porre sempre maggiore attenzione ai criteri Esg (Environmental, Social & Governance) nel loro agire quotidiano.
Dopo l'emissione e il recepimento da parte degli Stati membri della Direttiva 95/2014, che ha coinvolto società quotate in borsa e di interesse nazionale, l'Unione Europea si sta facendo carico di costruire un sistema di norme per giungere a standard più puntuali ed efficaci, prevedendo un ampliamento della platea di aziende che dovranno rendicontare informazioni non finanziarie.

 

Un'azione che in qualche modo asseconda la tendenza del mondo aziendale, costituito da organizzazioni dimensionalmente e settorialmente diverse, sempre più impegnato a fornire ai propri stakeholders - siano essi dipendenti, clienti o fornitori - informative puntuali e dettagliate circa le iniziative inerenti le politiche in materia di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.Un'azione tendente anche al contrasto del fenomeno greenwashing ma che pure, è bene sottolinearlo, dovrà tenere conto della necessità di mettere a punto anche un sistema di misurazione premiante per chi, risultando conforme alla nuove indicazioni, va addirittura oltre le norme nei suoi comportamenti responsabili.
Obiettivo dichiarato dal gruppo di studio della Commissione Europea essere pronti per il 2026, anno in cui, attraverso la Direttiva sulla Reportistica Aziendale per la Sostenibilità - Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) -, verrà promossa l'adozione di questa pratica anche presso le piccole e medie imprese prevedendo l'obbligo di rendicontazione per tutte le società quotate presso mercati regolamentati, indipendentemente dalla loro grandezza.Resterebbero escluse solo le micro-entità che, a partire dalla data di chiusura del proprio bilancio, non avranno superato i limiti numerici di almeno due delle seguenti norme: il totale dello stato patrimoniale deve essere pari a 350.000 euro, i ricavi netti delle vendite e prestazioni di 700.000 e almeno 10 dipendenti occupati durante l'esercizio. Tuttavia è previsto che anche le PMI non quotate possano, su base volontaria, fornire il proprio rendiconto non finanziario.

In totale, la Commissione stima che il numero delle imprese soggette ai nuovi obblighi salirà dalle attuali 11.600 - di cui circa 2.000 rientravano nei criteri minimi fissati dalla Direttiva, mentre le altre erano state sottoposte agli obblighi dalle misure di recepimento nazionale - a 49.000. In Italia, dove il legislatore non aveva esteso l'ambito di applicazione obbligatoria della Dichiarazione Non Finanziaria, il numero di imprese soggette dovrebbe passare da poco più di 150 a diverse migliaia.
Con due risvolti: da un lato sicuramente si eviteranno discriminazioni nei confronti delle piccole e medie imprese, ad esempio nell'ambito dell'accesso al credito, dall'altro saranno incentivati e ma-gari premiati gli investimenti per dare valore al capitale umano, al territorio, alla società stessa.
Allo stato dei fatti la Commissione Europea ha stabilito intanto una specifica tassonomia verde: una classificazione delle attività economiche che possono essere definite "sostenibili" non impattando negativamente sull'ambiente e in grado di contribuire a raggiungere l'obiettivo emissioni zero entro il 2050.

 


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